«Guardi, forse il Papa è più avanti di tutti. Non avrà presente i dettagli delle tecnologie, ma di sicuro ha chiaro che l’ambiente è il problema. Lì ci giochiamo il futuro».
È molto netto nelle sue affermazioni padre Philip Larrey, 57 anni, preside della Facoltà di Filosofia alla Pontificia Università Lateranense. Californiano di Mountain View “sono nato lì quando c’era solo una base dell’aeronautica, ora l’ha comprata Google”. Non è però solo per una questione di bandiere e appartenenza se, oltre a essere un sacerdote cattolico, è anche un grande esperto di tecnologie, digitale e Intelligenza artificiale.
Temi che lo hanno portato a partecipare alle ultime edizioni del World Economic Forum a Davos, simposio che ogni inverno raccoglie manager, intellettuali e politici ai massimi livelli, e a pubblicare Dove inizia il futuro, una carrellata di interessanti interviste, con alcuni dei protagonisti di un mondo che sta cambiando in fretta. Si va da Eric Schmidt, tra i boss di Google, a Don Norman, guru del design hi-tech; da Bill Shores, pioniere del cellulare, ad Anders Sandberg, cervello del Future of Humanity Institute a Oxford. Oltre questo si occupa, tra l’altro, di comunicazione, nucleare, sicurezza informatica.
D: Temi che hanno nessi sempre più evidenti con quel problema che sta tanto a cuore al Papa…
R: Il creato, la nostra casa comune, come la chiama lui. Ha ragione. Occuparsene, per chi segue questi temi, è fondamentale.
D: Perché?
R: Gli aspetti più controversi nell’uso delle tecnologie digitali sono legati alla società, più che all’ambiente. E sono i problemi di cui si discute da un bel po’. Quelli che, per fare un esempio, emergono in The Social Dilemma, il nuovo documentario di Netflix che fa vedere tutto il lato oscuro dei social media, ha presente? La dipendenza dalla Rete, l’impatto sulle famiglie. Sono effetti palesi e anche a livello filosofico l’impatto è profondo. Ormai si parla di transumanesimo, di impianti cerebrali, di fusione tra uomo e macchine. Ma pure il fattore ambientale sta guadagnando molto spazio tra chi studia queste cose. Vedo manager e aziende molto sensibili all’argomento. C’è tutto un movimento che si occupa del rapporto tra ecologia e tecnologia, tra Green e Blue, come li chiama Luciano Floridi, il filosofo di Oxford, con un’espressione sempre più usata. È diventato anche un progetto editoriale, per Repubblica…
D: Quali sono i punti più controversi, secondo lei?
R: Alcuni li sottolineava proprio Floridi, nell’intervista che ha fatto per voi. Secondo me è indicativa. In sostanza, ricorda che non è tutto oro quello che luccica. L’Intelligenza artificiale, per dire, richiede una quantità industriale di elettricità, quindi di fonti di energia. Certo, promette aumenti di efficienza, ma intanto assorbe risorse. Si veda l’esempio di DeepMind, il progetto di intelligenza artificiale di Google, che ha creato un algoritmo per ottimizzare i consumi nei Data Center. L’uso di certe tecnologie non significa di per sé un vantaggio per l’ambiente, è un investimento sul futuro. Ma saremo dipendenti dal petrolio ancora per anni.
Vedo manager e aziende molto sensibili al fattore ambientale. C’è tutto un movimento che si occupa del rapporto tra ecologia e tecnologia, tra Green e Blue
D: Però proprio il World Economic Forum, due anni fa, ha prodotto un documento interessante: Harnessing Artificial Intelligence for the Earth (Sfruttare l’Intelligenza artificiale per la Terra). Si fanno parecchi esempi di circoli virtuosi tra digitale e sostenibilità: le auto a guida autonoma che ottimizzano mobilità e consumi; il miglioramento dello stoccaggio e della circolazione di elettricità; l’analisi dei dati in agricoltura per ridurre l’uso di acqua e pesticidi. Tutto già in atto e grazie alle nuove tecnologie.
R: Quel testo è del 2018 e due anni in questo settore sono tanti. Ma l’inquadratura è buona. Sono esempi significativi. E ce ne sono molti altri. Le macchine elettriche per esempio, che inquinano quasi zero. O meglio: l’elettricità devi produrla e anche per costruire le batterie serve una spesa energetica non indifferente, ma il vantaggio è grande. Poi c’è il fotovoltaico. Il sole è lì per tutti, ed è gratis. La tecnologia che lo trasforma in energia utilizzabile è ancora poco economica, ma la prospettiva è quella. Uno scienziato di Bridgestone, l’azienda di pneumatici, tempo fa mi spiegava come usano le nanotecnologie per catturare in piccole cellule l’energia solare, e ne producono tanta.
Di recente sono stato a Sassuolo, il polo italiano delle piastrelle in ceramica. Il manager di una grande azienda di lì mi raccontava di come l’intelligenza artificiale ormai gli permetta di automatizzare anche la pulizia della polvere, che nella lavorazione della ceramica è un problema enorme. Vuol dire risparmiare energia, acqua e potenziale inquinamento. Certo, l’altra faccia della medaglia è che hanno fatto perdere parecchi posti di lavoro.
D: Non è un problema da poco…
R: Vero e chiede soluzioni anche quello. Ma il punto è che la tecnologia non è la soluzione definitiva. Offre strumenti che non avevamo, può suggerire strade nuove e modi più intelligenti di usare le risorse, ma troppo spesso, pur avendo in mano indicazioni e dati precisi, non li seguiamo. Il problema non è più la mancanza di informazioni: è la volontà reale di affrontare certe questioni. Come ricorda sempre il Papa, è l’uomo a essere decisivo. La tecnologia sarà utile nella misura in cui le permettiamo di esserlo. E devo dire che certe volte, di fronte al modo in cui si affrontano, o non si affrontano, certi problemi, viene quasi da chiedersi se il mondo non sarebbe migliore guidato da un’Intelligenza artificiale.
D: Addirittura…
R: È un paradosso, chiaro. Ma troppo spesso la politica va dalla parte opposta rispetto alla ragionevolezza. Oggi ce lo siamo dimenticato, perché ci sono altre urgenze, ma pochi mesi fa, con lo scontro tra Usa e Corea del Nord, è tornato d’attualità il rischio nucleare. Ecco, in casi del genere un sistema di Intelligenza artificiale potrebbe dare indicazioni utili. Basta impostare certi parametri: “cerca di tirare fuori una politica internazionale che faccia il bene a più persone possibile. Una guerra nucleare non è un bene per l’umanità, quindi evitala…” Ed ecco una bella razionalizzazione globale: non sarebbe una cosa negativa, no?
D: Mancherebbe l’uomo.
R: Appunto, è lì che volevo arrivare. L’Intelligenza artificiale, da un lato dipende dai programmi che scrivi, da come la imposti, dall’altro, ti dà indicazioni che poi sta a te seguire. Può tirare fuori delle linee guida sulla lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico, ma tocca a noi metterle in pratica.
D: Però è indiscutibile che su questi temi ci sia una sensibilità molto più grande, adesso. Qualche anno fa a Davos non si sarebbe parlato di questi temi e con questa profondità. Non vuol dire che si aprono nuove possibilità nel rapporto tra blu e verde?
R: Sì, ma io, forse perché sono un docente di filosofia, vado a monte e dico: qual è il desiderio umano che finisce per fare danni all’ambiente? L’avarizia? La mancanza di attenzione a come le nostre azioni impattano sul mondo? L’ineguaglianza nella distribuzione delle ricchezze? Sono questi i punti decisivi. La tecnologia può aiutare, ma se non c’è la volontà è inutile.
D: Accennava al Papa. Anche lì c’è un esempio di presa di coscienza molto rilevante. Francesco sta insistendo parecchio sulla salvaguardia del Pianeta. Parla di ecologia integrale, ricorda che tutti i problemi sono connessi e non si possono trattare separatamente. Come giudica questa sottolineatura? La Chiesa, secondo lei, è all’avanguardia o in ritardo su questi argomenti?
R: La Chiesa non lo so, ma il Papa lo è di sicuro. L’ambiente è uno dei suoi temi di fondo, assieme alla povertà, alla mancanza di uguaglianza, all’immigrazione. Per motivi che non c’entrano nulla con le aziende, il Papa ha individuato il fattore di rischio più grande della nostra società. In tanti lo guardano come un punto di riferimento. Penso a Larry Fink, l’amministratore delegato di Blackrock, uno dei maggiori fondi di investimento globali. Negli ultimi due anni ha scritto due lettere agli shareholders, che poi sono state studiate dai delegati di Davos: entrambe di appoggio ai testi del Papa sul tema ecologico e sul bene comune. Ha detto che Blackrock non farà più investimenti in aziende che fanno male all’ambiente. E ha partecipato con il Papa e il cardinale Turkson all’incontro con i dirigenti delle aziende petrolifere, due anni fa in Vaticano. Certo, è un cammino lungo, non si cambia da un giorno all’altro, ma è un dato di fatto che Francesco sta creando una coscienza più grande. Ed è urgente, perché i problemi viaggiano in fretta.
Il business è importante. Ma anzitutto occorre proteggere il pianeta. È l’unico che abbiamo, per ora...
R: Se parli con le aziende di assicurazioni, ormai ti dicono che il loro problema principale è assicurare contro i disastri naturali e i danni da cambiamento climatico. Un grande manager di una delle maggiori compagnie del settore, giorni fa, mi diceva che devono assicurare il porto di Miami. È uno dei più importanti d’America, ci passano miliardi di dollari di merci e decine di migliaia di turisti. Sa qual è la cosa che temono di più? La crescita del livello del mare. “Se si alza anche solo di 3 o 4 pollici è un disastro”, mi diceva. Oppure, pensi a quello che succede ormai ogni anno nella mia California.
D: Gli incendi?
R: Esatto. È uno scempio ecologico immenso, che non finisce quando hai spento le fiamme. I roghi dipendono in gran parte dal cambiamento climatico. Ma non è solo quello. In California, una delle cause principali è che le infrastrutture della PG&E, la maggiore azienda di forniture elettriche, sono obsolete. Non reggono più. E sostituirle costa tantissimo. Bene: per evitare di spendere, hanno causato talmente tanti danni che quell’azienda è arrivata alla bancarotta. Anche lì, se ci pensa, è significativo: il rischio più grande per un’azienda di quel genere è il danno ecologico, ma la cosa più intelligente che si possa fare è prevenirlo. Se hai a cuore l’ambiente, prima dei soldi, forse fai una decisione migliore anche per il business.
D: È emblematico che accada tutto a due passi dalla Silicon Valley. Come dire che anche il cuore mondiale dell’hi-tech è a rischio, se non si cambia rotta…
R: È una questione di visione. In inglese abbiamo un modo di dire: “hindsight is 20/20”, ovvero, col senno di poi, la vista è perfetta: hai sempre venti ventesimi. Se i manager di quell’azienda energetica avessero scelto dieci anni fa di aggiornare le infrastrutture, ora non sarebbero in bancarotta. Ma all’epoca nessuno lo faceva. Il problema era proteggere gli stakeholder, gli azionisti... Il Papa direbbe che è un caso di miopia, ed è difficile dargli torto. Il business è importante. Ma anzitutto occorre proteggere il pianeta. È l’unico che abbiamo, per ora.
D: In che senso “per ora”?
R: Beh, ci sono miliardari come Richard Branson, Jeff Bezos e Elon Musk che si sono buttati anche sui viaggi spaziali. Musk vuole colonizzare Luna e Marte, Bezos ha lanciato il progetto Blue Origin, ma a me pare che vogliano conquistare lo spazio perché non sono ottimisti sul futuro della Terra. Invece di lavorare per salvarla, cercano vie di fuga. Musk è un visionario, per carità, un genio. Ma se lo avessi davanti adesso, gli direi: “ehi Elon, perché non ci dai una mano a curare il nostro pianeta, invece di pensare a come abbandonarlo?”.
D: Le faccio la domanda che anche lei fa a molti dei suoi intervistati: come vede il rapporto tra verde e blu tra dieci anni?
R: Di sicuro vedremo molti cambiamenti. E non è detto che siano tutti in meglio. C’è chi è convinto che sia troppo tardi, che il danno sia già stato fatto. Altri dicono che siamo ancora in tempo per invertire la rotta. Io non sono pessimista. Mi auguro che diventiamo più saggi e che l’uso dell’Intelligenza artificiale possa aiutare l’umanità anche in questo. Ma per arrivarci, dobbiamo deciderlo.